Quando ero una persona migliore la sera prima di dormire leggevo. Avevo ancora bisogno delle mie favole.
In particolare ricordo con soddisfazione le ore notturne passate a sfogliare una raccolta di poesie scritte da sole donne in quello che ancora era il XX Secolo.
Si chiama L’altro sguardo. Antologia delle poetesse del ‘900*. Mi ricordo la mia cameretta, l’odore di sigarette, i poster e tutto quanto.
Quel libro mi piaceva così tanto prima di tutto perché conoscevo poche di quelle poetesse, ma quasi di più perché in fondo al volume c’erano delle loro brevi bio, che leggevo sempre dopo le poesie.
La seconda notte notai un particolare: molte di quelle donne si erano suicidate.
Di seguito copio la una poesia di Karin Boye e la sua bio.
La mia pelle è colma di farfalle
La mia pelle è colma di farfalle, di ali in sussulto –
svolano sui prati e si godono il miele
svolano a casa e muoiono in piccoli spasimi tristi,
neppure la polvere di un fiore è levata da zampe leggere.
Il sole esiste per loro, quello rovente, immenso, più antico dei tempi…
Ma sotto pelle e sangue e dentro le midolla
imprigionate si muovono, pesanti pesanti, aquile di mare,
dalle ali ampie, senza lasciar mai la preda.
Come sarebbe un giorno il vostro tumulto nelle tempeste marine di primavera?
Come sarebbe il vostro grido, quando il sole infocasse gli occhi gialli?
E negli artigli si torcono bianche, come germogli nati nel buio,
le mie intime fibre.
(Trad. di Daniela Marcheschi)
Karin Maria Boye, Svezia
Karin Maria Boye Nasce a Göteborg il 26 ottobre del 1900. Studia e lavora ad Uppsala e a Stoccolma. Da posizioni cristiane passa al radicalismo del gruppo svedese della rivista Clarté. Il suo primo libro di liriche è del 1922, Moln (Nuvole), cui seguono Gömda Land (Terre nascoste) del 1924 e Härdarna (i Focolari) del 1927. Nel luglio del 1929 sposa lo scrittore Leif Björk. Angosciata dalla propria bisessualità, vittima di frequenti crisi depressive, per cui si era sottoposta fin da giovane all’analisi freudiana, muore suicida, su una collina nei dintorni di Göteborg nel 1941. Scrisse anche opere di tearo e romanzi, tra cui nel 1940 Kollokain (Kollocaina), che risente di un viaggio nella Russia stalinista e descrive l’angoscia di vivere in funzione dello stato. L’ultima raccolta, De sju dodssynderna (I sette peccati capitali), esce postuma nello stesso anno della morte.
*A cura di Guido Davico Bonino e Paola Mastrocola.
Affascinante…molto.
La sensibilità è anche autodistruzione.
PS: ti ribloggo 😉
Quale onore! Sono felice che ti piaccia, sarà una mini-rubrichetta da 11 post!
Non vedo l’ora di leggere…
L’ha ribloggato su Un Blog un po' cosìe ha commentato:
SENSIBILITA’.
Quella eccessiva,
quella che è un dono,
quella che vorresti strapparti di dosso,
quella che ti consuma,
quella che ti distrugge,
quella che ti fa toccare il fondo,
quella che ti fa volare,
quella che ti fa creare,
quella che ti fa scrivere,
quella che ti fa piangere,
quella che ti fa urlare,
quella che ti fa vivere e morire.
Un commento-poesia perfetto alla mia prima poetessa suicida. Grazie!
Grazie a te 😉
le farfalle durano un giorno, dicono
E’ proprio così…
[…] Karin Boye, eccomi alla seconda poetessa suicida, a poco più di trent’anni, l’italiana Nadia […]
[…] che perde una figlia, forse vedova, cittadina della guerra è la mia poetessa suicida n. 3, dopo Karin Boye e Nadia Campana. Di lei ho scelto una poesia […]
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