Se vuoi essere una vera femmini(li)sta prima devi conoscere bene la tua vagina e capirla. Non è uno scherzo, molte donne anche oggi non hanno un’idea chiarissima dell’aspetto e degli attributi del proprio organo sessuale.
Lo dimostra questo video, che fa parte di una serie (molto fica, è il caso di dire 😉 ) diffusa di recente in Italia da Internazionale, a cura delle statunitensi Mona Chalabi e Mae Ryan. Hanno portato in giro per New York una vagina (anzi, una vulva!) gigante e hanno fatto domande a tema. Molto utile.
Prima di tutto:
vulva: (anat.) insieme degli organi genitali esterni femminili
vagina: (anat.) canale muscolo-membranoso dell’apparato genitale femminile, che va dall’utero alla vulva | nell’uso comune, anche la vulva
Nel 1996 Eve Ensler portò a teatro l’opera I monologhi della vagina, dove affrontava il tabù della parola VAGINA e di tutte le storie e i fatti che la riguardano. Il testo nasce da decine e decine di interviste e da’ voce, attraverso monologhi di donne molto diverse fra di loro, alle vicende delle loro vagine, anch’esse molto diverse fra di loro, e che riguardano mestruazioni, stupro, masturbazione, cancro, sesso…
Ok, ora c’è la parola vagina, e l’abbiamo ampiamente pronunciata ma… l’avete mai veramente guardata negli occhi la vostra vulva?
Nell’Introduzione Eve Ensler scrive:
Per prima cosa, non è nemmeno tanto facile trovare la propria vagina. Molte donne passano settimane, mesi, a volte anni, senza guardarla. Una potente donna d’affari che ho intervistato mi ha detto che era troppo impegnata; non aveva tempo. Guardarsi la vagina, ha detto, richiede un’intera giornata. Ti devi sistemare davanti a uno specchio, meglio se a figura intera. Devi trovarti nella posizione perfetta, con la luce perfetta, che poi è sempre un po’ oscurata dallo specchio e dalla posizione in cui sei. Devi contorcerti, marcare il collo per tirar su la testa, spezzandoti la schiena. Alla fine sei stanca morta… Ha detto che non aveva tempo per farlo. Era troppo impegnata.
E in uno dei monologhi intitolato L’Inondazione:
[…] Una donna di settantadue anni non aveva mai visto la sua vagina. Si era solo toccata lavandosi sotto la doccia, ma mai con intenzione consapevole. Non aveva mai avuto un orgasmo. A settantadue anni incominciò una psicoterapia. Un pomeriggio incoraggiata dalla sua terapeuta, se ne andò a casa, accese alcune candele, si fece un bagno, mise su il disco preferito, e scoprì la propria vagina. Disse che le ci volle più di un’ora perché ormai aveva l’artrite, ma poi, quando finalmente trovò la clitoride, scoppiò a piangere. Questo monologo è dedicato lei.
“Là sotto?” È dal ‘53 che non vado là sotto. No, non ha niente a che vedere con Eisenhower. No, no, è una cantina, là sotto. E molto umida, viscida. Non viene mica voglia di andarci, là sotto. Dia retta a me. C’è da sentirsi male. Soffocante. Nauseante. L’odore di umidità e la muffa, eccetera. Pff ! Ha una puzza insopportabile. Ti impregna i vestiti. No, non c’è stato nessun incidente, là sotto. Non è saltato tutto in aria o ha preso fuoco o roba del genere. Non è stato così drammatico. Voglio dire… be’, fa niente. No. Fa niente. Non posso parlare di questo con lei. Per che motivo una ragazza in gamba come lei va in giro a parlare con le vecchie signore della loro… “là sotto”? Non si facevano cose del genere quando ero ragazza io. Cosa? Oh, Signore, d’accordo. C’era un tipo, Andy Leftkov. Era carino… be’, io lo trovavo carino. E poi era alto, come me, e mi piaceva veramente. Mi ha invitato a uscire con lui per fare un giro in macchina… Non posso dirglielo. Non posso farlo, non riesco parlare di “là sotto”. Si sa che c’è e basta. Come la cantina. Certe volte c’è un brontolio là sotto. Si sente il rumore delle tubature, e gli animaletti, o affari piccoli ci restano impigliati ed è bagnata, e ogni tanto devono venire a tappare le perdite. Per il resto, la porta resta chiusa. Te ne dimentichi.
Volevo spiegargli che il suo bacio mi aveva preso alla sprovvista, che normalmente non ero cosi. Ho cercato di pulire quel lago col mio vestito. Era un vestito nuovo, giallo pallido, e diventò orribile macchiato a quel modo. Andy mi ha riaccompagnato a casa e non ha più detto una parola, non una, e quando sono uscita e ho chiuso la portiera della sua macchina, ho chiuso bottega definitivamente. Chiusa a chiave. Non l’ho mai più riaperta. Voglio dire, fa parte della casa, ma non la vedi, né ci pensi. Deve esserci, però, perché ogni casa ha bisogno di una cantina. Altrimenti la camera da letto sarebbe nel seminterrato. Sono uscita con qualche ragazzo dopo quella volta, ma l’idea dell’inondazione mi rendeva troppo nervosa. Non ci sono neanche più arrivata vicino. Ah già, Andy. Andy Leftkov. Giusto. Andy era bellissimo. E pure un buon partito. È così che si diceva ai miei tempi..
[…] Era “un posto. Un posto dove non si va. È chiuso per sempre, sotto la casa. È “là sotto”. Contenta, adesso? Mi ha fatto parlare — me le ha tirate fuori. Ha costretto una vecchia signora a parlare di “là sotto”. Si sente meglio ora? [Si allontana; torna indietro.] Sa una cosa? In realtà, lei è la prima persona con cui ho parlato di questo argomento, e mi sento un po’ meglio.
Ordunque, se non l’avete ancora mai fatto, da brave bambine date alla vostra vulva una sbirciata fatta per bene, approfondita, dettagliata; se non siete tanto flessibili o non ci vedete bene… lasciatela farsi un bel selfie 😉 , approfondirete poi i dettagli sullo schermo 😉 .
Immagine 1: Katja Tetzlaff, “Variety of vulva”.
Immagine 2: Tuly Maimouna
Immagine 3: MyPersonalTrainer
Riferimenti:
Eve Ensler, I monologhi della vagina, Marco Tropea Editore, 2000
[…] So che ha venduto una cifra improbabile di copie della sua raccolta di poesie “milk and honey”, che dipinge, che le sue liriche parlano in lingua femminile. […]