L’invidia del pene (?!). Freud, ti sei sbagliato

Il mio fidanzato dice sempre che le persone geniali non sono geniali in tutto. La natura ha fatto loro un dono in un ambito, e ha tolto loro “smalto” da un altro.

Che è un po’ come quando mia nonna diceva che Cristo dove leva pone, o quando Beckett scriveva che Le lacrime nel mondo sono una quantità immutabile. È  un fatto di compensazione.

Non sono proprio sicura di quello che ho scritto, ma vi giuro che io in testa ce l’ho chiaro. Comunque: Freud è stato un genio e uno studioso incredibile, ma non è che debba avere ragione su tutto. Chiedetelo alle sue sorelle, per esempio… e chiedetelo a tutte noi donne  orgogliose portatrici di vagina.

Per carità Sigmund, i peni ci piacciono (quasi a tutte), ma ciò non significa che ne vorrei uno attaccato al mio corpo. La mia vagina così com’è va benissimo. Non mi è mai sembrata “un difetto”, come la chiami tu. Non è mai accaduto che mi procurasse un piacere insufficiente (anzi, è successo eccome, ma la responsabilità era anche del pene e della persona a cui era attaccato 😉 ). Questa cosa poi che secondo te le donne abbandonano la masturbazione perché ci ricorda la nostra inferiorità rispetto ai maschietti col pisello proprio no… non funziona. Ecco tutto. Sigmund, ti sei sbagliato.

Non sono un’esperta di psicologia e non sono in grado di commentare i testi di Freud con scioltezza, ma una cosa mi viene in mente, chiara e semplice: Sigmund era un uomo nato, cresciuto, formato, glorificato e morto in un’epoca maschilista.

Et voilà l’invidia del pene:

La bambina naturalmente non ha da temere di perdere il pene, ma deve reagire al fatto di non averlo avuto. Fin da principio, essa invidia il bambino perché lo ha; si può dire che tutto il suo sviluppo si compia nel segno dell’invidia del pene. Da principio essa fa inutili tentativi per essere come il ragazzo, e in seguito con migliori risultati si sforza di compensare il proprio difetto, giungendo finalmente a una normale impostazione femminile. Se nella fase fallica cerca di procurarsi piacere con l’eccitamento manuale del genitale, raggiunge spesso un’insufficiente soddisfazione ed estende il giudizio d’inferiorità dal suo pene atrofizzato a tutta la persona. Di regola abbandona ben presto la masturbazione, perché non vuole che le venga ricordata la superiorità del fratello o dei compagni di gioco, e in genere si allontana dalla sessualità. Se la piccola donna persiste nel suo primo desiderio di diventare un “ragazzo”, in caso estremo finirà per diventare una manifesta omosessuale, altrimenti esprimerà nella sua futura condotta di vita tratti squisitamente virili, sceglierà una professione maschile e così via. L’altra via passa per il distacco dalla madre amata, alla quale la figlia sotto l’influenza dell’invidia del pene non può perdonare di averla messa al mondo così scarsamente dotata. Piena di rancore per ciò, essa abbandona la madre e la sostituisce come oggetto d’amore con un’altra persona, il padre. Se si è perduto un oggetto d’amore, la reazione più naturale è di identificarsi con esso, per così dire di sostituirlo con l’identificazione dall’interno. Questo meccanismo viene a soccorrere la bambina. L’identificazione con la madre può ora sciogliere il legame con la madre. La figlioletta si mette al posto della madre, come sempre ha fatto nei suoi giochi, vuole sostituirla presso il padre e ora ha due motivi per odiare la madre, prima amata: per gelosia e perché le è stato negato il pene. Il suo nuovo rapporto con il padre può, in un primo momento, avere per contenuto il desiderio di disporre del suo pene, ma culmina nell’altro desiderio di avere da lui in dono un bambino. Il desiderio del bambino è così subentrato al posto del desiderio del pene oppure se ne è almeno distaccato. È interessante il fatto che il rapporto tra complesso edipico e complesso di castrazione abbia nella donna aspetti del tutto diversi, anzi propriamente opposti a quelli dell’uomo. In quest’ultimo, come abbiamo visto, la minaccia della castrazione pone fine al complesso edipico; ma la donna viene a sapere che reagendo all’effetto della mancanza del pene, essa viene sospinta nel complesso edipico. Alla donna arreca pochi danni se essa persiste nella sua impostazione femminile edipica (si è proposto per essa il nome di “complesso di Elettra”). Essa allora sceglierà il marito secondo le qualità paterne e sarà pronta a riconoscerne l’autorità. La sua brama, propriamente insaziabile, di possesso di un pene può essere appagata, se le riesce di completare l’amore per l’organo in amore per chi lo ha, come è a suo tempo accaduto nel progresso dal petto della madre alla persona della madre.

Caro Sigmund, questa teoria non va, ma ti perdono, del resto non tutti i peni escono col buco.

La foto è presa da Etsy e l’opera è di NiamhyStitches.


Riferimenti

Sigmund Freud, Psicoanalisi, traduzione di A. Durante, Bollati Boringhieri, Torino 1963, pp. 187-189