No perché mentre noi abbiamo quei quattro rapper del cazzo che scrivono testi che col rap non c’entrano niente e non hanno un senso nemmeno se accetti lo svilimento dei concetti e la semplificazione fino alla demenza della lingua italiana, in Danimarca vive invece Yahya Hassan.
Ho visto la pubblicazione di recente in libreria, fra i desolati scaffali di poesia contemporanea e l’ho subito arraffato (cioè, l’ho comprato).
È un poeta giovanissimo che scrive testi “rappabili” (i suoi reading anche non musicati lo dimostrano, ma ecco un esempio di canzone fatta e finita, lui aveva 16 anni qui). Sono rabbiosi, duri, violenti, sboccati per un motivo, antireligiosi e raccontano della sua vita disadattata e sradicata.
Yahya Hassan è di origini palestinesi, i suoi genitori, musulmani, si trasferirono prima in un campo profughi in Libano a causa del conflitto con Israele e poi in Danimarca, dove Yahya è nato in un quartiere ad altissimo tasso di immigrazione e di delinquenza.
Ha un padre violento, manesco e religioso di facciata, passa da un istituto di recupero all’altro, lascia la comunità musulmana, diventa un piccolo criminale e poi inizia a scrivere, sempre in stampatello, poesie.
Poesie che raccontano la violenza in famiglia e nel “ghetto danese“, che criticano senza freni la religione musulmana. A causa dei suoi versi “blasfemi” viene aggredito e minacciato di morte, con la conseguenza che ora vive sotto scorta. A vent’anni.
Il suo libro di poesie Yahya Hassan è il più venduto di sempre in tutta la Danimarca.
Copio qualche suo testo***, fra i più leggeri, con un motivo.
PAPÀ IL MIO FIGLIO NON NATO
VERSO VENTI LITRI DI OSCURITÀ
E UN’INFANZIA SULLA PARETE
UNA MANO DELL’ETÀ DELLA PIETRA UN CORANO IN PAPERBACK
FORSE TI AVREI AMATO
SE FOSSI STATO TUO PADRE E NON TUO FIGLIO
MATTINO
È PASSATA UNA SETTIMANA
QUANDO GLI EDUCATORI DELLA SVEZIA SI FANNO VIVI
CON L’INSENSATEZZA SULLE PALPEBRE
E BUCHI NELLE MUTANDE
MI TRASCINANO GIÙ DALLA SCALA DI PIETRA
E DENTRO LA LAND ROVER
MENTRE MAMMA E I FRATELLI STRILLANO DA UN PIANEROTTOLO
PARABOLA
NON AVEVAMO CANALI DANESI
AVEVAMO AL JAZEERA
AVEVAMO ALARABIYA
NON AVEVAMO PROGETTI
PERCHÈ ALLAH LI AVEVA PER NOI
PAPÀ MI PORTAVA ALLA MOSCHEA NEL MESE SACRO
OGNI SERA DOPO CENA PREGAVAMO
PREGAVAMO FINCHÈ NON STAVAMO PIÙ IN PIEDI
PREGAVAMO PREGAVAMO E MI DAVA UNA COLA E UN KITKAT
NELLA MOSCHEA LUI DIVENTAVA UN ALTRO
AMOREVOLE E COL TIMORE DI DIO
IO STAVO SEDUTO TRA LE SUE GAMBE
MI APPOGGIAVO AL SUO CORPO
E CAPITAVA CHE MENTRE L’IMAM PREDICAVA
MAGARI LUI MI DAVA UN BACIO
TORNANDO A CASA SONO CADUTO DALLA MACCHINA
CREDEVO CHE VOLESSE PARCHEGGIARE
MA HO APERTO LO SPORTELLO IN UN’INVERSIONE A U
Vorrei farvi leggere la maggior parte delle sue poesie gridate, ma per oggi basta così, è solo un assaggio.
*** Giusto perché non sai mai chi capita sul tuo blog apposta per fraintenderlo: io sto coi palestinesi. La religione musulmana mi va bene, o male, come quella cristiana o come qualunque altra. Non penso assolutamente che il conflitto Israele-Palestina abbia motivazioni religiose. Come sempre, le guerre prendono a pretesto la fede per portare avanti battaglie economiche. Sono atea, ma molto volentieri vivo nel rispetto per chi sente una fede sincera per qualunque religione abbia scelto di seguire. Peace.
sei sempre perfetta e misurata ma schierata senza se e senza ma namastè guido
Grazie! Fa piacere!