Poeta apolide palestinese con passaporto danese, classe 1995. Yahya Hassan

No perché mentre noi abbiamo quei quattro rapper del cazzo che scrivono testi che col rap non c’entrano niente e non hanno un senso nemmeno se accetti lo svilimento dei concetti e la semplificazione fino alla demenza della lingua italiana, in Danimarca vive invece Yahya Hassan.

Ho visto la pubblicazione di recente in libreria, fra i desolati scaffali di poesia contemporanea e l’ho subito arraffato (cioè, l’ho comprato).

È un poeta giovanissimo che scrive testi “rappabili” (i suoi reading anche non musicati lo dimostrano, ma ecco un esempio di canzone fatta e finita, lui aveva 16 anni qui). Sono rabbiosiduri, violenti, sboccati per un motivo, antireligiosi e raccontano della sua vita disadattata e sradicata.

Yahya Hassan è di origini palestinesi, i suoi genitori, musulmani, si trasferirono prima in un campo profughi in Libano a causa del conflitto con Israele e poi in Danimarca, dove Yahya è nato in un quartiere ad altissimo tasso di immigrazione e di delinquenza.

Ha un padre violento, manesco e religioso di facciata, passa da un istituto di recupero all’altro, lascia la comunità musulmana, diventa un piccolo criminale e poi inizia a scrivere, sempre in stampatello, poesie.

Poesie che raccontano la violenza in famiglia e nel “ghetto danese“, che criticano senza freni la religione musulmana. A causa dei suoi versi “blasfemi” viene aggredito e minacciato di morte, con la conseguenza che ora vive sotto scorta. A vent’anni.

Il suo libro di poesie Yahya Hassan è il più venduto di sempre in tutta la Danimarca.

Copio qualche suo testo***, fra i più leggeri, con un motivo.

PAPÀ IL MIO FIGLIO NON NATO

VERSO VENTI LITRI DI OSCURITÀ

E UN’INFANZIA SULLA PARETE

UNA MANO DELL’ETÀ DELLA PIETRA UN CORANO IN PAPERBACK

FORSE TI AVREI AMATO

SE FOSSI STATO TUO PADRE E NON TUO FIGLIO

MATTINO

È PASSATA UNA SETTIMANA

QUANDO GLI EDUCATORI DELLA SVEZIA SI FANNO VIVI

CON L’INSENSATEZZA SULLE PALPEBRE

E BUCHI NELLE MUTANDE

MI TRASCINANO GIÙ DALLA SCALA DI PIETRA

E DENTRO LA LAND ROVER

MENTRE MAMMA E I FRATELLI STRILLANO DA UN PIANEROTTOLO

PARABOLA

NON AVEVAMO CANALI DANESI

AVEVAMO AL JAZEERA

AVEVAMO ALARABIYA

NON AVEVAMO PROGETTI

PERCHÈ ALLAH LI AVEVA PER NOI

PAPÀ MI PORTAVA ALLA MOSCHEA NEL MESE SACRO

OGNI SERA DOPO CENA PREGAVAMO

PREGAVAMO FINCHÈ NON STAVAMO PIÙ IN PIEDI

PREGAVAMO PREGAVAMO E MI DAVA UNA COLA E UN KITKAT

NELLA MOSCHEA LUI DIVENTAVA UN ALTRO

AMOREVOLE E COL TIMORE DI DIO

IO STAVO SEDUTO TRA LE SUE GAMBE

MI APPOGGIAVO AL SUO CORPO

E CAPITAVA CHE MENTRE L’IMAM PREDICAVA

MAGARI LUI MI DAVA UN BACIO

TORNANDO A CASA SONO CADUTO DALLA MACCHINA

CREDEVO CHE VOLESSE PARCHEGGIARE

MA HO APERTO LO SPORTELLO IN UN’INVERSIONE A U

Vorrei farvi leggere la maggior parte delle sue poesie gridate, ma per oggi basta così, è solo un assaggio.

*** Giusto perché non sai mai chi capita sul tuo blog apposta per fraintenderlo: io sto coi palestinesi. La religione musulmana mi va bene, o male, come quella cristiana o come qualunque altra. Non penso assolutamente che il conflitto Israele-Palestina abbia motivazioni religiose. Come sempre, le guerre prendono a pretesto la fede per portare avanti battaglie economiche. Sono atea, ma molto volentieri vivo nel rispetto per chi sente una fede sincera per qualunque religione abbia scelto di seguire. Peace.