Christiane F. e David Bowie

Senza Christiane F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino sarei arrivata molto più tardi a David Bowie e penso che non avrei mai nemmeno studiato tedesco, né mi sarebbe venuta la scimmia per Berlino, sindrome dalla quale sono ancora gravemente affetta.

Il libro lo rubai allo stesso cugino di sempre 😉 , aveva la copertina macchiata, forse di caffè, ed è come se quella macchia fosse poi rimasta su tutte le pagine della storia di Christiane.

Come tante altre cose, era sporco e mi piaceva e mi faceva paura e mi piaceva ancora di più. Amore e repulsione sono vicini a volte.

Rimasi innamorata, scioccata e dipendente da quelle pagine insudiciate e il film lo noleggiai subito dopo, un vhs che non volevo restituire.

Qui vidi per la prima volta David Bowie: la colonna sonora era sua e compariva nella pellicola nel ruolo di se stesso.

Anche nel libro la musica del Duca Bianco è ovunque, tutti gli amici di Christiane sono suoi super fan e proprio dopo il concerto di Bowie lei si fa di eroina per la prima volta.

La porzione lugubre e decadente della sua musica ha reso indimenticabili parecchie scene del film, come quella del concerto in cui canta Station to station, o quella in cui Christiane vaga per strada e in metro sulle note inquietanti di Sense of Doubt, o la famosa fuga dopo la rapina accompagnata da Heroes.

Da allora, per me, David Bowie è indissolubilmente legato all’immaginario christianeffiano che ha tanto influenzato la mia fantasia e un po’ anche la mia vita di ragazza perbenissimo aspirante marciona.

Ecco qualche frase e brano dal libro che riguarda David (RIP <3).

Mi resi conto presto quale era la musica che loro trovavano forte e anch’io subito dopo stavo appresso a quella musica: David Bowie e roba così. Per me i ragazzi che conoscevo erano loro stessi delle star. Da dietro erano tutti dei David Bowie in originale, anche se avevano solo sedici anni.

Avevo lasciato giù le persiane. Nella luce che penetrava dalle stecche si vedevano spesse nuvole di fumo. Avevo messo su un disco di David Bowie e tirai dal chilom e trattenni il fumo nei polmoni fino ad avere uno scoppio di tosse. Tutti erano silenziosi. Ognuno era partito da qualche parte e ascoltava la musica. Aspettai che mi accadesse qualcosa. Pensavo: adesso che hai preso la droga ti deve succedere qualcosa di nuovo, pazzesco. Ma in realtà non sentivo proprio niente. Mi sentivo solo un po’ brilla. Ma questo veniva dal vino. Non sapevo ancora che la maggior parte della gente, la prima volta che fuma hascisc, non sente niente. Ci vuole un po’ di esercizio regolare per avvertire consapevolmente il feeling che da l’hascisc. L’alcool ti da in testa molto di più.

Senza droghe il Sound era squallido. Non succedeva più niente. Fino a quella mattina in cui andai alla metropolitana e vidi che dovunque si stavano attaccando dei manifesti. Erano manifesti pazzescamente pop. Sopra c’era scritto: «David Bowie viene a Berlino». Non riuscivo a capacitarmi. David Bowie era il nostro idolo solitario, il più stupendo di tutti. La sua musica era la migliore. Tutti volevano assomigliare a lui. E finalmente veniva a Berlino.

Ecco la scena del concerto:

Volli dunque andare al concerto di David Bowie, che nella mia immaginazione di allora rappresentava uno degli avvenimenti più importanti della mia vita, proprio con un bucomane totale. Quanto questo fosse determinante ancora non lo sapevo quando offrii a Pollo il biglietto. Vivevo solo a livello di subconscio. Ma in qualche modo, nel corso delle settimane in cui le pasticche, il fumo e l’LSD non mi avevano fatto più nessun effetto, il mio atteggiamento nei confronti dell’ero doveva essere mutato. In ogni caso erano chiaramente cadute le invalicabili barriere che c’erano state tra me e i bucomani.

Il giorno del concerto mi incontrai con Pollo nella Hermannplatz. Lui era lungo lungo e magro magro. Che era così non me ne ero mai accorta. Glielo dissi. Mi disse che pesava solo 63 chili. Si era pesato da poco all’emoteca. Pollo si guadagnava una parte dei soldi che gli servivano per la roba facendo il donatore di sangue. Malgrado avesse l’aspetto di un cadavere e le sue braccia fossero crivellate dai buchi, e malgrado i bucomani abbiano assai spesso l’epatite, per le donazioni del sangue lo accettavano sempre.

Nella metropolitana mi venne in mente che avevo dimenticato il valium. Dissi a Pollo: «Merda, me lo volevo assolutamente portare appresso, in caso che durante il concerto flippo». In ogni modo, a casa, avevo già buttato giù un paio di valium, non per partire con la testa ma per stare bene da David Bowie.

A Pollo gli prese la fissa del valium che avevo lasciato a casa. Gli chiesi: «Ma perché t’ha preso così la fissa del valium?». Lui ripetè che voleva assolutamente tornare indietro. Appena lo guardai più attentamente ebbi un lampo: le sue mani tremavano. Stava quasi a rota. «Stare a rota» viene dalla ruota della tortura ed è quello che succede ai vecchi bucomani come manifestazione della crisi di astinenza che si ha quando passa l’effetto della pera.

Feci presente a Pollo che non potevamo più tornare indietro altrimenti saremmo arrivati troppo tardi al concerto. Lui disse che non aveva più né roba né soldi e per via del concerto non ne avrebbe potuti più rimediare. E che era una merda al cubo andare da David Bowie stando a rota e non avere neanche del valium. A questo punto lui non era più né padrone di sé né aveva più la sua aria paracula. Di vedere qualcuno a rota mi era già successo spesso, ma di rendermene conto così non mi era mai capitato.

Nella Deutschlandhalle, dove davano il concerto, c’era un’atmosfera stupenda. Quelli che c’erano erano quasi tutti tizi stupendi e difatti erano dei fans di David Bowie. Vicino a noi c’erano dei soldati americani che si facevano un chilom. Bastò guardarli e loro fecero girare la pipa fino a noi. Pollo si attaccò al chilom come un pazzo ma ugualmente stava sempre peggio.

Quando David Bowie cominciò era tutto eccitante quasi come me lo ero immaginato. Era pazzesco. Ma quando arrivò al pezzo «It is too late», è troppo tardi, andai giù di un colpo. Già nelle ultime settimane, quando non sapevo più per che cosa vivevo e dove andavo, questo «It is too late» mi aveva preso su ai nervi. Avevo pensato che questa canzone descriveva esattamente la mia situazione. Adesso questo «It is too late» mi sconvolgeva. Avrei avuto bisogno del mio valium.

Dopo il concerto Pollo non ce la faceva quasi a camminare. Stava completamente a rota. Incontrammo Bernd, l’amico di Detlef. Lui prima del concerto si era fatto una pera. Disse che dovevamo fare qualcosa per Pollo. Che lui stesso poteva ancora contrattare una pera.

Bernd aveva ancora due acidi. Li vendette in gran fretta davanti alla Deutschlandhalle e ne ricavò 12 marchi. Il resto dovevo rimediarlo io. Ero una maestra a rimediare soldi. Al Sound gran parte del denaro che mi serviva per la droga lo mettevo assieme andando a chiederlo in giro. Adesso servivano almeno 20 marchi. Al di sotto di questa cifra, nel giro, non si poteva rimediare nulla. Fare la colletta davanti alla Deutschlandhalle andò favolosamente. Al concerto c’era venuta un sacco di gente che aveva soldi, gente che ancora non era stata infastidita tutti i minuti da qualcuno che voleva soldi per la droga. Bastò dire: «Non ho soldi per la metropolitana» e le monete risuonarono nella mia borsa di plastica.

Bernd ci comprò dell’ero. Più che sufficiente per due pere. La roba allora costava relativamente poco.

Quindi come un lampo mi venne un pensiero: «Adesso che hai rimediato i soldi per la roba, per lo meno ti va di provarne un po’. Vedere se questa roba è davvero così buona, come sembra a guardare i bucomani che dopo una pera hanno un’aria così felice». Davvero non ebbi altri pensieri che questo. Non realizzavo assolutamente che nei mesi passati mi ero preparata sistematicamente ad essere matura per l’ero. In quel momento non avevo nessuna consapevolezza che ero così tremendamente giù, che questo «It is too late» mi aveva completamente sconvolta, che a uscirne fuori non mi aiutava più nessun’altra droga, che nella strada che avevo imboccato la logica conseguenza era l’eroina. Tutto quello che pensai in quel momento era che non volevo che i due bucomani adesso se ne andassero e mi mollassero sola nella mia merda. Dissi subito agli altri due che anch’io volevo provarla. Pollo riusciva a mala pena a parlare. Ma si infuriò letteralmente. Disse: «Non lo fare, non hai idea di quello che fai. In poco tempo sarai esattamente come sono io adesso. Sarai un cadavere». Pollo sapeva bene che lo chiamavano cadavere.

Non fu certo così che io, povera ragazza, venni presa di mira consapevolmente da un perfido bucomane o da uno spacciatore, come si legge sempre sui giornali. Non conosco praticamente nessuno che sia stato spinto a bucarsi contro il suo desiderio. La maggior parte dei giovani all’eroina ci arrivano da soli, quando sono maturi per farlo come lo ero io.

Il faticoso blaterare di Pollo mi rendeva solo testarda. Lui adesso stava a rota, non era più il tipo stupendo e compassato ma un poveraccio che dipendeva da me. Non volevo farmi dare ordini. Dissi: «Prima di tutto la maggior parte della roba è mia perché ho rimediato i soldi. Secondo non dire cazzate. Io non sarò mai così dipendente come te. Mi so controllare benissimo. La provo una volta e poi chiudo».