A colpo d’occhio gli haiku sembrano una scarna manciata di parole buttate a caso sulla superficie di tre versi. E invece ci sono un sacco di regole, metriche ed emozionali, che li regolano.
La premessa alle regole ce l’ha scritta ben bene Kerouac:
L’haiku è nato e si è sviluppato in Giappone nel corso dei secoli come forma di poesia completa di diciassette sillabe, in grado di condensare un intero quadro di vita in soli tre versi.
Ed ecco come le regole vere e proprie (semplificando):
- 17 “on” (“suono” in giapponese), generalizzando, 17 sillabe. Negli haiku moderni questa regola è spesso ignorata
- le 17 sillabe sono distribuite su 3 versi: 5 + 7 + 5
- i 3 versi sono divisi in 2 parti concettualmente distinte, separate e indipendenti
- le 2 parti, in giapponese, sono divise da un “kireji” (“parola che taglia”): in occidente è intraducibile, è un po’ come una sospensione, un’attesa, che da noi viene visualizzata a volte con un trattino
- le 2 parti, come dicevo, sono separate, ma hanno comunque un collegamento, una scaturisce dall’altra, ma il nesso non è mai banale, scontato, evidente: il significato profondo dell’haiku sta proprio in quel nesso, in quell’illuminazione
- apparentemente non ci sono sentimenti coinvolti: oggettività, zen e compostezza, ma… l’emozione deriva proprio da qui
- ogni haiku ha un “kigu”, ovvero un riferimento stagionale alla natura che deriva dall’osservazione sensoriale di questa
- non hanno un titolo
Sembra facile, ma non è: soprattutto trovare il nesso che lega i versi, separati dal kireji, senza che sembri un collegamento sciatto e già noto è roba da maestri, da ninja della poesia.
[…] Ma se vuoi sapere con un briciolo in più di esattezza di cosa si tratta leggi Haiku for dummies. […]