Meno di Zero uscì negli USA nel 1985, l’8 giugno. Buon compleanno.
Bret Easton Ellis, praticamente un semi-dio, lo scrisse a 20, e dico 20, anni. Era una tesina di Scrittura Creativa. Io l’ho letto a 20 anni e non ci potevo credere. Quelle parole così semplici, chirurgiche e perfette che descrivevano un mondo opposto al mio mi facevano male.
Storie di ragazzi di Los Angeles ricchissimi, bellissimi, tipo quelli di Beverly Hills 90210, solo perennemente strafatti e vuoti, soli, disperati. Disperati ma senza disperazione nella scrittura da bisturi di Ellis, a cui non pende un capello come a Clay, la voce narrante, a Blair, la sua ex, e a tutti i loro compagni divorati dai soldi e da tutto ciò che puoi compraci. Gli anni ’80, l’America di Reagan, l’abbronzatura, la cocaina, il Valium, l’eroina, gli ansiolitici, l’indifferenza, la palestra, i genitori che non sanno niente di te, i party, il sesso senza senso con chiunque, l’isolamento, l’abbandono. L’infelicità caustica nascosta dietro agli immancabili Wayfarer.
Come poteva colpirmi tutto ciò, a me, che abitavo a Sant’Albino, frazione di Montepulciano, provincia di Siena, in mezzo a quello strafottuto nulla a 40 minuti di macchina dalla stazione dei treni che ti porta fuori dalla regione? A me, che al massimo mi facevo una birretta la sera e due sizze? Facciamo 10 sizze, va’. A me, che avevo degli amici veri e che non mi sentivo sola?
Forse un po’ sola mi ci sentivo. E forse anche un po’ disperata. Mah.
Comunque io lo capivo Clay, che voleva Disappear Here, Saprire Qui. E capivo Blair che in un locale, mentre parla del nulla con gli altri figliazzi di papà imbottiti di grano, incide con la chiave sul tavolo, forse senza accorgersene, la parola HELP.
Nella mia copia del libro ho trovato un orecchio rovesciato. Clay è dall’analista. Non è uno dei pezzi più belli del romanzo, ma se l’ho segnato una ragione, a Sant’Albino, doveva pur esserci.
Lo psichiatra da cui vado per queste quattro settimane di vacanza è giovane, ha la barba, una 450 SL e una casa a Malibu. Durante le sedute nel suo studio di Westwood con le tende abbassate, mi tengo addosso gli occhiali da sole e fumo, anche qualche bidi, solo per irritarlo, e ogni tanto piango. Altre volte urlo e urla anche lui. Gli dico che ho queste fantasie sessuali incredibili e allora il suo interesse aumenta. Mi metto a ridere senza ragione e poi mi viene la nausea. Qualche volta gli racconto bugie. Lui mi racconta della sua fidanzata e dei lavori che sta facendo alla casa di Tahoe e io chiudo gli occhi e mi accendo un’altra sigaretta, a denti stretti. A volte mi limito ad alzarmi e andarmene.