Amo le lettere, odio le mail.
Le lettere che amo di più sono quelle scritte prima di suicidarsi e quelle di dimissioni. Mi piacciono le lettere d’addio.
Oh, a ognuno piace ciò che piace, mica bisogna giustificarsi. Non ci deve essere un perché. Non credo ci sia una ragione perché mi piacciono le foto di matrimoni di gente sconosciuta, le stanze d’albergo, le forbici, gli spilli da balia, le buste, le scatole e i cani vecchi e brutti. Se c’è tra di voi uno psicologo mi smentisca.
Quando arriva l’estate mi viene voglia di dimettermi (non penso di essere l’unica). Stavo quindi rileggendo la lettera che William Faulkner scrisse per licenziarsi dall’ufficio postale dell’università dove lavorava, male, da tre anni. In effetti fu costretto a dimettersi, visto che lo beccavano continuamente a scrivere, giocare e cazzeggiare, invece che fare ciò per cui era pagato.
Faulkner era un pessimo impiegato, mica come Kafka, che anche in un lavoro che detestava era ineccepibile. Ah, Franz, il tuo schiacciante senso del dovere ad ogni costo!
Era l’ottobre del 1924, Faulkner aveva 27 anni e, con una discreta faccia di c..o, scrisse ai suoi superiori:
Finché vivrò nel sistema capitalista, so che la mia vita sarà influenzata dalle richieste di persone facoltose. Ma io sia dannato se mi propongo di stare agli ordini di ogni furfante itinerante che ha due centesimi da investire in un francobollo.
Queste, signori, sono le mie dimissioni.
Niente, poi scrisse dei romanzi e molte altre opere e vinse un Nobel e un Pulitzer.
Direi che fece bene a mollare la carriera impiegatizia.
[…] dicevo che ho una passione insana per le lettere di dimissioni e quelle scritte prima del suicidio. Vi dicevo anche che, ci dovesse essere uno psicologo in […]