Toscanità. Il vino e l’inferno dei viventi. Calvino

Stamattina ho bevuto due dita di vino di troppo. So che non dovrei perché sto allattando, ma so’ toscana e non provate a levammi il vino perché divento una brutta persona. Non c’è niente di meglio (più che altro: c’è poco, via giù) di un bicchierino di rosso appena prima di mangiare, a stomaco vuoto. Ah sì, si chiama aperitivo.

Comunque, in questo ormai sconosciuto stato di poca sobrietà mi è venuta in mente una delle manciate di righe più grandiose che siano state scritte in questo paese in questo secolo disgraziato.

Lui è un mio idolo da sempre, uno che leggo da quando ero bambina perché le sue opere hanno il pregio di avere tanti di quei piani di interpretazione che vanno bene sempre, a qualunque età.

Sto parlando dell’ultima pagina di Le città invisibili di Italo Calvino. Alla salute!

L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e approfondimento continui: cercare e sapere riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.

E in questo, vi dirò, il vino aiuta 😉

Ugo-Gattoni

La prima foto, Paper City, è un’opera di Maciek Janicki, la seconda è un’illustrazione di Ugo Gattoni.