Foscolo, Teresa, Ortis e il mio prof d’italiano

Uno dei miei prof d’italiano mi stava particolarmente simpatico perché, mi raccontava mia nonna, per poter ricevere una degna istruzione era entrato in seminario, ma poi si era spretato prima di cantare messa. Questo fu il primo mattone della mia incrollabile ammirazione per lui.

Il secondo mattone fu rappresentato dal fatto che sapeva un sacco di “pettegolezzi” sugli scrittori italiani e latini e ce li raccontava sempre un po’ sottovoce, come se, che so, Vincenzo Monti fosse lì ad ascoltarci.

Il terzo mattone si chiama Dino Campana, ma su questo dovrò tornarci su.

Non citavo Monti per caso. Quando leggemmo Ugo Foscolo (ricorre oggi 10 settembre la data della sua scomparsa, nel 1827 a Londra) ci parlò in maniera coinvolgente del suo temperamento inquieto, passionale, anticonformista, che bene traspare dalle sue parole e dalla biografia. Al contrario di Monti. Più vecchio di Foscolo di oltre vent’anni, rappresentava un tipo di intellettuale molto diverso, più classico, allineatotradizionalista.

Il loro rapporto altalenò sempre fra due opposti ma… la cosa che volevo dire era che… insomma… focoso, giovane, ribelle Foscolo, al Monti, gli portò via la donna. Non ufficialmente! Si parla di qualche scappatella e… della donna amata da Jacopo Ortis nelle Ultime lettere.

Teresa Pichler era l’attrice, moglie di Monti, che ispirò a Foscolo la figura, appunto, di Teresa, l’amore impossibile di Jacopo.

Vincenzo, scusa, ma non c’era proprio storia fra voi due, con il dovuto rispetto.

Scelgo qualche breve passo dalle Ultime lettere di Jacopo Ortis, tormentato, patriottico e maledetto (cugino di Werther) come il suo autore. Teresa (quella di carta), che ti sei persa…

[…] spesso rido di me, perché propriamente questo mio cuore non può sofferire un momento, un solo momento di calma. Purché io sia sempre agitato, per lui non rileva se i venti gli spirano avversi e propizj. Ove gli manchi il piacere, tosto ricorre al dolore.

[…] Non so mai di che nome voi altri saggi chiamate chi troppo presto ubbidisce al proprio cuore: perché di certo non è un eroe; ma è forse vile per questo? Coloro che trattano da deboli gli uomini appassionati somigliano quel medico che chiamava pazzo un malato non per altro se non perch’era vinto dalla febbre.

O tu che disputi pacatamente su le passioni: se le tue fredde mani non trovassero freddo tutto quello che toccano; se quant’entra nel tuo cuore di ghiaccio non divenisse tosto gelato; credi tu che andresti così glorioso della tua severa filosofia?

[…] ho sentito fieramente tutte le passioni, né potrei vantarmi intatto da tutti i vizj. È vero, che nessun vizio mi ha vinto mai, […] confesso che i miei ravvedimenti nacquero […] dalla disperazione di trovare la gloria e la felicità […].

S’io avessi venduta la fede, rinnegata la verità, trafficato il mio ingegno credi tu ch’io non vivrei più onorato e tranquillo? Ma gli onori e la tranquillità del mio secolo guasto meritano forse di essere acquisiti col sacrificio dell’anima?

Quello che importa, si è […] che questa indole mia altera, salda, leale; o piuttosto ineducata, caparbia imprudente, e la religiosa etichetta che veste d’una stessa divisa tutti gli esterni costumi di costoro, non si confanno; e davvero io non mi sento in umore di mutar abito.

[…] chi in tempi schiavi è pagato per istruire, rado o non mai si sacrifica al vero […].

Il genere umano è questo branco di ciechi che tu vedi urtarsi, spingersi, battersi, e incontrare o strascinarsi dietro la inesorabile fatalità.

Sta dunque tutta la mia felicità nella vota apparenza delle cose che ora m’attorniano; e se io cerco alcun che di reale, o torno a ingannarmi, o spazio attonito e spaventato nel nulla!

Perché mai questo mio cuore nelle stesse occasioni ora è pace, ora è tutto tempesta?

No! la morte non è dolorosa. Che se taluno metterà le mani nella mia sepoltura e scompiglierà il mio scheletro per trarre dalla notte in cui giaceranno, le mie ardenti passioni, le mie opinioni, i miei delitti – forse; non mi difendere, Lorenzo: rispondi soltanto Era uomo, e infelice.

Il Cielo è tempestoso: le stelle rare e pallide; e la Luna mezza sepolta fra le nuvole batte coi raggi lividi le mie finestre.

I mortali sono naturalmente schiavi, naturalmente tiranni, naturalmente ciechi.