Un Dylan Thomas è per sempre. Tre poesie

No. No! Che non mi si chieda di scegliere una poesia di Dylan Thomas perché è impossibile!

Già ho fatto fatica a scegliere se festeggiare il suo compleanno (27 ottobre 1914) con una lettera o con dei versi, ho tirato a dadi nel mio cervello in subbuglio ed è uscita la parola “poesie”, più di così non posso fare. Due, me ne concedo due.

No! Non sono sufficienti! Facciamo tre, dai, tre va bene, poi potrò scrivere altri mille post con gli altri versi/lettere/citazioni. Ma che dico mille! Duemilamilioni.

Dylan, mi hai fatto compagnia in notti tumultuose nella mia cameretta di adolescente fremente e tribolata, col sangue che ribolliva nelle piccole vene assorte al suono dei tuoi versi drammatici, labirintici.

In estasi ad osservare la tua foto con la faccia di chi ha bisogno di essere salvato e la sigaretta che pende dalla bocca chiusa. Negli anni sono tornata spesso da te, da adulta sempre più fremente e tribolata, a leggere tutto, tutto (forse quasi tutto…) quello che hai scaraventato sul foglio bianco, che sapeva d’alcol e disperazione. Solitudine.

Torno anche oggi, come ieri, come stanotte, e forse anche domani, da te, sempre da te, che mi regali quanto oso copiare sotto. Immenso.

Amore in manicomio

Un’estranea è venuta
A spartire con me la mia stanza nella casa lunatica,
Una ragazza folle come gli uccelli

Che spranga la notte della porta col suo braccio di piuma.
Stretta nel letto delirante
Elude la casa a prova di cielo con nubi invadenti

E la stanza da incubi elude col suo passeggiare
Su e giù come i morti,
O cavalca gli oceani immaginati delle corsie maschili.

Venne invasata,
Chi fa entrare dal muro rimbalzante l’ingannevole luce,
Invasata dal cielo

Dorme nel truogolo stretto e tuttavia cammina sulla polvere
E a piacer suo vaneggia
Sopra l’assistito del manicomio consumato dalle mie lacrime
ambulanti.

E rapito alla fine (cara fine) nelle sue braccia dalla luce
Io posso senza venir meno
Sopportare la prima visione che diede fuoco alle stelle.

Oh, fatemi una maschera

Oh, fatemi una maschera e un muro per nascondere alle spie
Dei vostri occhi aguzzi e laccati e degli artigli occhialuti

Lo stupro e la rivolta degli asili infantili del mio volto,
Mordacchia d’albero ammutito per bloccare contro i nemici scoperti
La lingua baionetta in questo indifeso pezzo da preghiera
(Questa bocca) e la tromba delle bugie soavemente sonata,
Espressione di tonto scolpita in quercia e in antica armatura
Per proteggere il cervello corrusco e smussare gli ispettori,
E un vedovile dolore unto di lacrime languente dal ciglio
Per velare la belladonna e lasciare che gli occhi asciutti
Scorgano gli altri tradire le lagnose bugie delle loro sconfitte
Con la curva della bocca nuda e il sorriso sopra i baffi.
Non da questa collera
Non da questa collera, anti-culmine dopo
Che il rifiuto paralizzò i suoi fianchi e il fiore zoppo
Si curvò come una bestia a lappare il fiotto solitario,
In una terra cinghiata dalla fame,
Ella riceverà una scorpacciata d’erbacce
E potrà generare quelle mani viticce che palpo
Attraverso i tormentati, due mari.
Dietro il mio capo un quadrato di cielo s’affloscia
Sul sorriso circolare lanciato da amante ad amante
E la palla dorata rotola via dai cieli;
Non da questa collera, dopo
Che il rifiuto rintoccò come campana sott’acqua, il suo sorriso
Potrà generare quella bocca, dietro lo specchio,
Che brucia lungo i miei occhi.