Fra una telenovela tipo Andrea celeste e Anche i ricchi piangono e l’altra, un giorno vidi in tv con mia nonna Il tamburo di latta. Ricordo questo bambino piccolo e strano che non cresceva (Che disgrazia! avrà sicuramente detto la nonna) e in particolare mi ossessionò la scena in cui la madre, davanti a lui, si faceva il bidet. Non mi parve una cosa a modo. È una storia che mi è rimasta appiccicata addosso per tutta la vita. Ve la racconto.
C’era una volta un bambino che si chiamava Oskar. Oskar Matzerath. Era polacco, aveva una madre, un padre e un altro padre presunto.
Oskar, dotato di un’intelligenza acuta e maniacale, al compimento dei tre anni ricevette in regalo un tamburo di latta e, proprio in quel giorno, decise di non crescere più. Per non dover spiegare il motivo della sua scelta a nessuno (il mondo degli adulti lo ripugnava), fece finta di cadere in una botola. E in effetti non crebbe più fino al suo ventunesimo anno di età, quando decise che il suo sviluppo fisico doveva riprendere, durante il funerale di uno dei suoi padri (che lo ripugnava).
Tante, tantissime cose accadranno a Oskar Matzerath, che per molti anni fece finta di non crescere nemmeno mentalmente: lavorò per un circo con un suo amico nano, fece l’esperienza della guerra, s’innamorò della sua matrigna ed ebbe un figlio/fratellastro, entrò in una banda di teppisti col nome di Gesù, finì in un manicomio da dove ci racconta la sua storia…
Per tutta la vita Oskar suonò il suo tamburo di latta rosso e bianco, che portava sempre appeso al collo, per protesta, spesso accompagnandolo col suono della sua voce che riusciva a mandare in frantumi i vetri nel raggio di parecchie centinaia di metri.
Questo bambino, adulto e deforme, e la sua storia, hanno contribuito a far vincere il Premio Nobel al loro creatore, Günter Grass, nato oggi 16 ottobre nel 1927 e morto quest’anno ad aprile. Gli auguro buon compleanno con un brano del suo capolavoro che mi scioccò non poco:
Allora dissi, allora decisi, allora risolsi di non diventare in alcun caso un uomo politico e tanto meno un negoziante di generi coloniali, ma di far punto e basta, di rimanere così. E così rimasi nella misura della mia persona, con questo equipaggiamento, per molti anni. […] dal mio terzo compleanno in poi non crebbi di un dito, rimasi il bambino di tre anni, ma anche il tre volte furbo, che tutti gli adulti sorpassavano in altezza, ma che a tutti gli adulti doveva essere tanto superiore, che non avrebbe voluto misurare neanche la propria ombra con la loro, che di mente e di corpo era ormai un uomo fatto, mentre quelli ancora da vegliardi dovevano preoccuparsi del loro sviluppo, che non faceva altro che farsi confermare quello che essi a fatica e spesso dolorosamente dovevano sperimentare, che di anno in anno non aveva bisogno di scarpe e di calzoni più grandi per dimostrare che qualcosa in lui cresceva.