Sylvia Plath voleva essere Dio. 3 poesie dimostrano che lo è

Sylvia Plath da bambina voleva essere Dio. Aveva grandi aspettative. Onnipotenza e perfezione.

Ci ha provato: studia sodo, scrive notte e giorno, legge senza sosta, lavora, cerca editori, si sposa e fa la moglie, e la vuole fare bene, fa due figli e vuole fare la madre, i suoi bambini vengono prima di tutto, il marito la lascia per un’altra e Sylvia vuole farcela da sola, non può permettersi di deludere la sua mamma perfetta, alla quale non può dire che sta male.

Cerca di fare tutto e meglio di tutti. È umana e non ce la fa.

Il 27 gennaio 1963 Antony Burgess scrive sull’Observer una bella recensione del suo romanzo, largamente autobiografico, The Bell Jar. Bello. Ma la Plath s’infuria quando vede, nello stesso giorno, sulla stesa rivista, dei versi di Ted Hughes.

Sylvia è fuori di testa e depressa, è sola a Londra con i bambini, al freddo e senza soldi.

Il 28 gennaio scrive ben tre poesie, pazzesche, e mentre si avvicina la data del suo suicidio, Sylvia diventa Dio, onnipotente e perfetta nei suoi versi.

Totem

Il motore uccide l’orma, l’orma è argentata,
Si allunga in lontananza. Tuttavia sarà inghiottita.

La sua corsa è inutile.
A sera c’è la bellezza dei campi sommersi,

L’alba indora i fattori come maiali,
Dondolanti appena nei loro spessi abiti,

Le bianche torri di Smithfield in fondo,
I fianchi grassi e il sangue nelle menti.

Non c’è misericordia nel lucore delle mannaie,
La ghigliottina del macellaio che sussurra: “Com’è questo?  Com’è questo?”

Nella ciotola l’aborto della lepre,
Più in là la testa del piccolo imbalsamata nelle spezie,

Deprivata della pelliccia e di umanità.
Facciamone cibo come il secondamento di Platone,

Facciamone cibo come Cristo.
Queste sono le persone che furono importanti –

I loro occhi tondi, i denti, le smorfie
Su un bastone che scuote e sbatte, un serpente finto.

Mi terrorizzerà il collare del cobra –
La a solitudine del suo occhio, l’occhio delle montagne

Attraverso cui il cielo eternamente penetra?
Il mondo è caldo-sangue e privato

Dice l’alba, con il suo gettito cruento.
Non c’è capolinea, solo valige

Dice l’alba, con il suo gettito cruento.
Non c’è capolinea, solo valige

Da cui il medesimo io spoglia se stesso come un abito
Liscio e scintillante, con tasche di desideri,

Idee e biglietti, brevi viaggi e specchi pieghevoli.
Sono pazzo, grida il ragno, ondeggiando i numerosi arti.

Ed è veramente terribile,
moltiplicato negli occhi delle mosche.

Loro vociano come bambini lividi
Nelle reti dell’immensità,

Vincolate alla fine dall’unica
Morte con i suoi molti steli.

Bambino

I tuoi occhi limpidi l’unica bellezza assoluta
Voglio riempirli di colori e anatre,
Lo zoo delle novità

Sui cui nomi fantastichi –
Bucaneve d’aprile, Campanula parassita,
Piccolo

Stelo senza grinze,
Stagno in cui le immagini
Dovrebbero essere grandiose e classiche

Non questa dolente
Torsione di mani, questo
Soffitto scuro senza una stella.

I manichini di Monaco

La perfezione è terribile, non può avere figli.
Fredda come respiro di neve, occlude il grembo

Dove arbusti di tasso spuntano come idre,
L’albero della vita e l’albero della vita

Scioglienti le loro lune mese per mese, invano.
Flusso di sangue è flusso

D’amore, sacrificio assoluto.
Vuol dire: non altri idoli che me,

Me e te.
Così, sulfureamente amabili, nei loro sorrisi

Questi manichini s’affacciano stanotte
A Monaco, obitorio che sta fra Roma e Parigi,

Nudi e spogli nelle loro pellicce,
Lecca-lecca all’arancio su stecchi d’argento,

Insopportabili, senza sentimento.
Sgocciola giù la neve i suoi frammenti di buio,

Non c’è nessuno. Negli alberghi
Mani apriranno porte, deporranno

Scarpe da lucidare in cui domani
Enormi diti di piedi entreranno.

Oh quale aria di casa queste vetrine,
Biancheria da neonati, dolciumi guarniti di verde,

I grevi tedeschi assopiti nel loro Stolz senza fondo.
E i neri telefoni ai ganci

Luccicanti
Luccicanti e inghiottenti

Insistenti voci. Non ha voce la neve.

La perfezione è terribile, non può avere figli. ❤  Se solo questo avesse potuto valere anche per te, Sylvia.


Riferimenti

Sylvia Plath – I giorni del suicidio, Stefania Caracci, Edizioni Rispostes

Sylvia Plath, Lady Lazarus e altre poesie, a cura di Giovanni Giudici, Oscar Mondadori